Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
L'insegnamento dei vulcani
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 163, p. 3
Data: 10 luglio 1955


pag. 3




   Ho avuto sempre una peccaminosa amicizia per i vulcani e un inconcepibile rimpianto per tutti i vulcani spenti che sono, a quanto pare, legione. Questa disumana amicizia non nasce in me da quell'incanto dell'orrido che fu uno dei sintomi del preromanticismo e neppure dal gusto sadico della distruzione. Non penso al pittoresco dei pini di fumo e dei riflessi infernali del fuoco eruttante e tanto meno mi allietano le fiumare di lava bollente che sotterrano i vigneti e travolgono le case. Tutt'al più piace alla mia fantasia eterodossa l'idea di quelle bocche fiammeggianti e mugghianti, che sono gli unici portavoce tra il profondo e misterioso regno sotterraneo e l'illuminata e scoperta superficie della terra.
   Ma soprattutto ammiro, nei vulcani vivi e attivi, tanti maestri di umiltà per l’incommensurabile e insopportabile orgoglio scientifico dei moderni. A dispetto di tutte le nostre fisiche, meccaniche, chimiche e macchine di ogni specie e potenza che avallano la comica sicumera e la presuntuosa protervia dei nostri demiurghi in sessantaquattresimo, nessuno può illudersi o vantarsi di poter arginare le correnti di lava fluente giù dai vulcani e tanto meno di tappare e otturare per sempre le bocche tonanti e vaporanti dei crateri. Se a Pompei e ad Ercolano, nel 79 dopo Cristo, fossero stati presenti e operanti i più magici e diabolici scienziati, inventori e ingegneri dei nostri giorni, che cosa avrebbero mai potuto fare per salvare quelle città? Essi medesimi, con tutti i loro segreti portentosi e le loro ricette prodigiose e le loro pile elettroniche e le loro mogli e assistenti, sarebbero rimasti sepolti sotto l'invincibile coltre di cenere e di lapilli che ricoprì i poco scientifici contemporanei di Plinio. L'unico scienziato dell'antichità che abbia affrontato un vulcano, cioè Empedocle, non trovò nulla di meglio da fare, almeno secondo la leggenda, che precipitarsi volontariamente dentro il cratere dell'Etna.


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